La Charity Ride: non erano i campioni i veri protagonisti del primo giorno.
Ia Charity Ride si corre in favore di Wings for life, un’organizzazione no-profit attiva nella ricerca delle lesioni al midollo spinale, una pedalata non competitiva. Per me, che già tanto competitiva non sono mai, questo tagliava la testa al toro della mia stàmina.
Ma a furia di fantasticare sui miei idoli che da lì a poco avrei incontrato dal vivo, l’alba mi trova già arzilla come un grillo, anche se la sveglia non era tanto presto. Infatti l’’appuntamento per raggiungere in auto il luogo della partenza, Fuschl am See era alle 9, orario più che comodo.
Fuschl am See è un paesino grazioso nel Salisburghese, di quelli che nella regione dove ci troviamo si incontrano ad ogni piè sospinto. Facciamo base nel Road Bike and Triathlon Hotel Mohrenwirt accogliente e disponibile, e arriviamo alla partenza, che troviamo già gremita di persone: ovunque ci si giri ci sono campioni è personalità famose. Infatti questa è la decima edizione della Eddy Mercx Classic e per l’occasione sono arrivati VIPs e autorità sportive e no della regione e del paese.
Prima del via vengono presentati e invitati a salire sul palco i dieci-campioni-più uno: Eddy Merckx, Maurizio Fondriest, Felice Gimondi, Francesco Moser, Jan Jannssen, Rob Harmeling, Stephen Roche, Laurent Brochard, Joop Zoetemelk, Franz Stocher, Roland Königshofer.
Poi, si parte.
La charity-ride si conclude con un ottimo “sporty lunch” sul prato retrostante l’ Hotel Mohrenwirt, dove siamo tutti insieme, campioni, handbiker, testimonials, personalità famose e comuni mortali, dove si mangia e si beve a volontà prelibatezze locali, piatti sostanziosi, si bevono vino e birra, si ride, si scherza tra noi, si cerca il campione del cuore con cui scambiare due parole o farsi fotografare per poi vantarsi con gli amici.
Io mi guardo attorno in cerca dei miei preferiti, e ho la fortuna di trovarne due allo stesso tavolo, che se la chiacchierano davanti a un buon bicchiere: Gimondi e Moser. Con la faccia tosta della prima birra, mi avvicino e riesco a ottenere una foto che mostrerò ai nipotini, proprio in mezzo a loro due, e a fare quattro chiacchiere, sul motivo che li ha spinti lì, sul loro modo di vivere il ciclismo oggi, che è molto più godersi la vita, i paesaggi e gli amici che non la performance sui pedali.
La cena
E poi a letto presto, domani è il gran giorno!
La gara.
“Non sono io che sono lenta, è il paesaggio che è troppo bello per non essere guardato”
Lo confesso: la notte prima ho fatto fatica ad addormentarmi, come i bambini alla vigilia di Natale.
Pensavo a chi avrei incontrato, e cosa avrei detto e fatto.
Della gara, sinceramente e delle mie possibili performance non mi importava molto, essendo io una “normale” amatrice in un gruppo in cui il più schiappa aveva corso su pista o fatto due Giri d’Italia.
La sveglia è talmente presto questa volta che sorprendiamo l’alba prima che sorga. Fuori dall’albergo mi godo un momento di pace nella promessa di sole che colora d’oro il paesaggio. Ma bando alle ciance, è ora di andare.
Alla partenza a Fluschl am See l’atmosfera è quella di tutte le Gran Fondo: emozione, attesa, allegria. Con un brivido in più dell’essere in mezzo a tutti quei miti su due ruote. E il privilegio di trovarsi in un paesaggio unico al mondo.
Per non farmi aspettare per ore dai miei compagni decisamente più prestanti, opto per un elegante “63 chilometri”, altrimenti detto “il corto” pensando che almeno quello lo posso fare bene, in un tempo di tutto rispetto.
E parto, con piglio battagliero, spingendo fiera sui pedali.
Ma poi, inarrestabilmente lo sguardo viene attratto da uno scorcio, e mi perdo in quelle mille sfumature di verde dei prati che degradano in uno dei 200 laghi di questa regione, e il colore del cielo, che chissà come fa a essere così blu. E poi ancora, si passa attraverso minuscoli paesini che sembrano usciti da un libro delle favole, che è impossibile non rimanere incantati. E ancora, chiese e monumenti ricchi di un passato antico, e altri scorci che rubano gli occhi e altri laghi e colli, e in fondo, alte montagne a fare da quinta maestosa.
E inevitabilmente, i piedi rallentano il ritmo, e un altro tipo di batticuore sopraggiunge: quello dell’emozione della meraviglia.
Credetermi: non è che sono lenta, è tutta colpa di questo paesaggio, che rapisce e distrae.
Cronometro a parte è stata una gara meravigliosa, che finisce nell’unico ristorante italiano all’estero in cui abbia mai mangiato squisitamente e veramente italiano: il Seegartl, dove, ci spiega il cuoco bergamasco, arriva tutto dall’Italia e viene cucinato da lui in modo impeccabile.
Gino ci racconta che si è trasferito lì 15 anni fa e non tornerebbe indietro per niente al mondo.
E mentre mi godo il suo delizioso vitello tonnato, guardando il lago di fronte a me, con l’acqua così pulita “che la si può bere”, in una giornata tiepida di sole e fresca di brezza, penso che non gli si può davvero dare torto.
Reportage di Alberta Schiatti