Da Siracusa a Pozzallo, passando per Noto ed Ortigia
La giornata di ieri da Naxos a Siracusa, è stata molto dura, ma il sonno non scalfisce quel fuoco febbrile che è insito nel viaggio.
Il dramma interiore è trovare una giusta bilancia tra ciclismo e turismo, specie ora che tanta bellezza si concentra in pochi chilometri. Correre e seguire la strada, o rimanere alla ricerca di quel borgo o quel forno? Fermarsi e vedere anche un minimo sindacale città come Noto o Ragusa richiede delle tappe molto più brevi delle nostre, che seguono una tabella di marcia serrata, ma sarebbe davvero un crimine fare tanta fatica per passare dentro Siracusa di sera e ripartire all’alba del giorno dopo. E così decidiamo di concedere le prime ore della mattinata alla più bella e fiorente colonia greca, la città di Archimede, nata da un’insenatura dietro un’isola che la rendevano un porto naturale e inattaccabile, cresciuta tra il mare e una valle ricca d’ogni genere di frutti, che oggi conserva il suo fascino intatto. Qui il tiranno Dionisio tenne prigioniero Platone, qui nacquero innumerevoli miti e leggende greche, prima tra tutte quella della ninfa Aretusa.
Aretusa era una bellissima fanciulla devota ad Artemide, alla quale aveva fatto voto di castità.
Quando … la vide se ne innamorò, e già stava per prenderla con la forza, quando lei invocò la dea della caccia affinché la salvasse e potesse conservare il suo voto. E Artemide la trasformò in una fonte d’acqua dolce proprio sull’isola di Ortigia, di fronte al mare. Quanto al suo amante, fu trasformato pietosamente in un fiume sotterraneo, che sgorgava proprio vicino alla fonte, in modo che i due potessero confluire in mare insieme. Girare per le vie di
Ortigia dà immediatamente l’idea di trovarsi in un luogo senza tempo, circoscritto dal mare in un’oasi di pace. Il tempio di Apollo convive a pochi metri dalla sinagoga ebraica, il duomo barocco è stato costruito inglobando al suo interno le colonne rimaste del tempio di Minerva, in un armonico sincretismo religioso e culturale in cui gli strati sono disposti in maniera casuale ma affascinante.
Anche gli epiteti dati un tempo agli dei pagani ricordano quelli del cattolicesimo: e così Atena Parthenos si sovrappone alla Vergine Maria, e si fondono insieme Zeus Eleuterio, la Madonna degli Ammalati, Apollo Delfico e Santa Maria del Riposo. Se serve una madonna diversa per vegliare su ogni singola azione umana, allora forse il monoteismo è un’invenzione malriuscita.
Prima di mettersi in cammino, è doverosa una visita alla Neapolis, la nuova città greco-romana: le forme bianche del teatro sono scavate nella roccia proprio davanti a un dolce declivio che finisce al mare, in modo che la brezza jonica sfiorasse le performances degli attori durante le tragedie di Eschilo o Sofocle.
Impressionanti sono le latomie, delle tagliate di roccia che sfruttavano delle cavità naturali nelle colline alle spalle di Siracusa, utilizzate prima come cava di pietra e poi come carcere: qui si creano incredibili giochi di acustica, che permettevano al tiranno Dionisio di ascoltare i discorsi dei suoi prigionieri. Dopo l’Orecchio di Dionisio, è tempo di ripartire dal LOL Hostel. Le carrube ci indicano la via, sparse a bordo strada.
La salita per Noto ci coglie ancora una volta col caldo, tra ulivi radi e asfalto bollente. I meloni zuccherini e il Sacro Buco Giallo sono l’unico carburante ammesso.
Noto: il barocco
Il giallo inonda ogni cosa, gli edifici che conservano una loro dignità nella canicola, i balconi composti e adorni, le chiese maestose e solenni, in attesa di un miracolo eucaristico e teatrale. In questo gioiello incastonato nelle colline dell’entroterra sembra che la pioggia non sia mai caduta, eppure la gente passeggia e gusta le proprie granite con quel fare tipico di chi non rinuncia all’eleganza nemmeno nel deserto.
Ci rifocilliamo al primo bar sulla porta del paese, “A cu sa”, che sforna arancini incredibili: riso, carne e piselli, si fondono in un unico bolo bollente, una trinità tenuta insieme dal mistero della fede e da un sottile velo di fritto.
Non paghi di sollazzi gastrici, ci mettiamo alla ricerca di quella che è considerata la migliore granita di tutta la Sicilia, il “Caffè Sicilia” su Corso Vittorio Emanuele. Lo troviamo chiuso, che è lunedì. Ripieghiamo su un bar vicino, che comunque si difende.
La mandorla di Noto è regina incontrastata. Ma anche da qui tocca partire, nell’ansia eterna del divenire. Il viaggio in bici ti permette di innamorarti di mille luoghi diversi, ma di lasciare inappagato quell’amore appena sorto per una nuova ripartenza.
La discesa da Noto fende i campi verdi d’un verde vivo, rigoglioso, testimone di un tempo in cui la terra era l’unica, grande ricchezza. Terra, acqua, sole. E poi olivi, pomodori, vigne, melanzane, mandorli, aranci. Cos’altro serve?
La strada si fa trafficata e la guida dei mezzi a motore più nervosa: a Giancarlo fanno il pelo di pochi centimetri, e solo il braccio del passeggero sullo sterzo del conducente impedisce l’impatto. Tutto in una frazione di secondo. Piero invece viene chiuso da un bus in curva, mentre io e Giuseppe ci agganciamo ai rispettivi manubri. La Fuji di Giuseppe si accascia, lui resta in piedi.
Arrivati a Pozzallo, serpeggia malumore e stanchezza. Si decide a malincuore di tagliare Ragusa dall’itinerario, e di accamparsi al primo campeggio sulla strada lungo il mare.
Da qui in poi ci accompagneranno i cartelli della SIBIT, la ciclovia costiera meridionale sicula, che copre la distanza tra Siracusa e Trapani con piccoli tratti di pista in sede propria e altre parti condivise col traffico, perlopiù per bellissime strade secondarie che evitano la temibile statale 115.
Il porto di Pozzallo e le indicazioni degli imbarchi per Malta ci tentano come sirene. Un’ora e mezza e siamo a La Valletta. Ma è proprio necessario finire a Palermo? La proposta semiseria dura qualche istante, poi desistiamo. Una mezza intenzione c’era. Ci fermiamo a un campeggio nei pressi di Marina di Modica, il camping Di Vita Vera. Ci chiediamo se la signora che lo gestisce si chiami Vita o Vera, poi purtroppo capiamo che il nome si riferisce alla vita reale, quella in diretta, quelle cose lì insomma. Il posto è meraviglioso, il costo un po’ meno: piantiamo le tende tra gli ulivi a dieci metri dalle onde, e ci mettiamo a contrattare per far scendere a 15 i 18 euro a persona richiesti dalla signora Vera (o Vita, a dir si voglia). Tuffo al tramonto nell’acqua piena di alghe e detriti marini, mentre fricchettoni radical chic fanno yoga in spiaggia, di fronte ai loro camper da trentamila euro.
Cerchiamo di annegare la stanchezza nel cibo, dopo aver montato le tende al buio: la sparuta movida di Marina di Modica ci consola a panini di pesce spada o cavallo. Prima che il buio scenda implacabile,una granita alla ricotta addolcisce la durezza dell’ultima parte della giornata.
Un’epifania. Una granita. Alla ricotta. Anzi, no, cremolato. Alla ricotta. Cremolato. Ho sonno. Alla ricotta.