Ottava tappa: in bicicletta da Taranto a Brindisi
L’aurora giunge puntuale, e ci trova tutti in varie posture più o meno naturali. Fiorella ha abbandonato il posto accanto a me per rifugiarsi in lidi meno fragorosi, Massimo pure ha tentato di scappare, è riuscito a forare il materassino e non ha praticamente chiuso occhio. Ma tra i molti problemi rimediabili col caffè, il sonno è il principale, e dopo il quarto (caffè, non sonno) riuscirà a capire qualcosa.
I genitori di Mariangela l’hanno presa sul serio: prima ancora di capire chi siamo ed esserci svegliati del tutto, ci fanno trovare un vassoio di paste e ciambellone fatto in casa.
Anche in questo caso arriva il momento dei saluti, anche in questo caso il viaggio è una linea continua che toglie e dà. Fermarsi, ogni tanto? Sì, ma non ancora, l’Oriente è vicino. Se ne sente il profumo, a cavallo tra Jonio e Adriatico.
Inforchiamo le nostre cavalcature per una tappa relativamente rilassante, diciamo di avvicinamento: l’obiettivo di stasera è Brindisi e l’imbarco per le coste greche. E se per arrivarci c’è di mezzo il Salento, beh, tanto meglio.
Lasciata la costa tarantina, incontriamo i tre padroni incontrastati di queste terre: l’Ulivo, albero forte e tenace, dal frutto prezioso come oro e dai colori scuri e decisi che attecchiscono sulla terra rossa; la Pietra degli interminabili muretti a secco, bianchiccia e acerba, che incastonandosi pezzo dopo pezzo va a costituire il confine della sacra terra e dei poderi; e per ultimo la più possente e temibile delle tre entità, quella alla quale le prime due da sempre cercano di resistere: il vento.
E proprio le raffiche sostituiranno le pendenze, che nella tappa di oggi sono quasi assenti. Insomma, mai una gioia. Recita infatti il Primo Postulato del Cicloturista,
Se c’è vento, è vento in faccia.
Le folate sono costanti, a tratti violente al punto da far vacillare il nostro equilibrio e costringerci ai rapporti più agili con ignominia. Si avanza con relativa lentezza nelle interminabili distese di ulivi.
A proposito, il tronco di un ulivo è capace di raccontare la storia dell’umanità intera, basta sapersi fermare a guardarlo.
Passiamo attraverso Marrugia, e poi sulla strada verso Manduria raccogliamo un altro pezzo di Viaggio: Ernesto, fuggito per una giornata dalle sue vacanze nella natia provincia leccese, ci appare a bordo strada col suo cappello a tese larghe e un sorriso contagioso già stampato in faccia. Sarà nostro Cicerone e nostro Virgilio per la giornata di oggi, del resto gioca in casa.
I chilometri si dipanano come un grappolo d’uva, acino dopo acino, del tutto simile a quelli che divoriamo a mo’ di satiri dopo averli trafugati dal verde luminoso dei campi. Ad esempio, a me piace il Sud.
Quel Sud di ferrovie dritte che nemmeno in un film di Sergio Leone, quel sud di autotreni impazienti che strombazzano chiedendo spazio all’affannato ciclista lungo carreggiate anguste. Quel sud pieno di frutta da cogliere di straforo.
Francavilla ci attanaglia con le sue rotatorie, facendoci allungare di 5/6 km rispetto al percorso stabilito: ma è un piacevole diversivo, e la sua piazza principale ci offre riparo dalle ore più calde. Le imprevedibili raffiche di vento ci regalano spruzzi dalla fontana, che devia il corso degli zampilli.
“Lo specialista”, paninaro il cui nome non ammette repliche, ci foraggia a schiacciatine, salumi e formaggi. Il bar accanto ci dà ombra e beveraggi. E Fiorella incontra delle amiche con le quali scambiamo un po’ di chiacchiere. Insomma, non manca nulla.
Nel frattempo, arriva il tempo di decisioni importanti: Massimo infatti, partito da Roma una settimana fa con l’intenzione di tornare a casa la sera stessa della prima tappa, dopo aver prolungato il suo viaggio giorno dopo giorno ed essersi fatto portare da Fiorella la carta d’identità e qualche cambio in più, ricarica la PostePay e acquista un biglietto aereo da Atene per il 16. Il giorno prima, scendendo dai monti Irpini, aveva un solo paio di calzoncini, nessuna tenda, due canottiere, una camera d’aria e un sacco a pelo.
Il viaggio è un’entità relativa. E tutte le mie pianificazioni sono sovrastruttura inutile.
Per uscire da Francavilla, ci attende il corso diretto e feroce della via Appia, che in questo tratto è una superstrada a quattro corsie battuta da camion che nemmeno l’A1. Per evitarla, cerchiamo non senza qualche difficoltà delle strade secondarie di uscite.
Agnese indica con convinzione l’uscita a sinistra: “Regà, per Taranto è di qua!” Massimo la corregge: “no, a destra”
Agnese insiste: “Ma no, c’è scritto Taranto lì!”
Appunto, Agnese, noi da lì veniamo, dovremmo andare a Brindisi.
Ah.
Fermiamo un ragazzo che sta attraversando a piedi il viadotto sopra l’Appia, gli chiediamo indicazioni, ci dice che esiste una comoda complanare che porta prima a Latiano, di lì a Mesagne e infine a Brindisi. Incuriosito dal suo zaino e dal suo camminare pellegrino nel grigiore suburbano di Francavilla, nell’ebbrezza del viaggiatore Massimo gli chiede “Dove te ne vai con quello zaino?”
“A casa mia, qui, sono arrivato”
Ah.
A questo punto sarebbe d’obbligo un Elogio della Complanare: una via lenta e defilata, antica quanto il mondo agricolo, che offre a chi non può o non vuole tenere il passo dei tir un’alternativa silenziosa eppure diretta. Una strada gregaria, un riparo dalla pedalata tranquilla, un non-luogo adatto alle cadute dalla bici di Ernesto, intento a farsi fotografare senza mani sul manubrio.
Arrivati a Brindisi, troviamo addirittura il tempo di fermarci da Decathlon per fare qualche acquisto tecnico, prima che ci venga in mente di controllare l’orario di imbarco del traghetto per Igoumenitsa. Parte alle 9, e sono le 7 di sera.
Ah.
Fretta e panico, dobbiamo fare fare spesa, comprare i biglietti e trovare il porto. Tagliamo qualche incrocio e bruciamo semafori dentro Brindisi, fino a trovare un alimentari dove fare scorte per la notte, salutare il nostro sherpa salentino alla stazione e puntare dritti alla scorciatoia per il porto.
Terminal del Porto di Brindisi. Il paffuto bigliettaio 50enne ha la faccia di chi non ride dall’81. Ci pensa Massimo, mentre Fiorella tenta di intavolare una conversazione seria per acquistare i biglietti. Le conversazioni si sovrappongono in maniera psichedelica.
Bigliettaio: “Dove dovete andare?”
Fiorella: “A Igoumenitsa”
Bigliettaio: “Ma in bici?”
Fiorella: “ad Atene! Nei luoghi della mitologia greca”
[nel frattempo, l’aria condizionata manda improvvise vampate gelide]
Massimo: “Aho, ma che c’è Eolo qua?”
BIgliettaio: “Ad Atene? A Igoumenitsa? Guardate che si sale!”
Massimo: “E che, il mare è in salita?”
E si apre una breccia nella fredda professionalità da bigliettivendolo, con risate.
Non pago dello show, mi chiede di accompagnarlo al bar del porto, per prendere qualcosa da bere prima della partenza.
“è amabile e pure lei lo è”
Vino ed euforia
Il mare.
Due tappe perse nelle sue profondità ondulate.
E ancora una volta, l’odissea del traghetto. Un viavai di operazioni di carico, bagagli, e il crudele gioco della sedia a trovare il posto migliore da accaparrarsi per la notte. Le cabine sono per chi ha voglia di spendere, le poltrone per chi ama prenotare; il passaggio ponte è il biglietto per il doMai
Come per Taranto, anche Brindisi vanta origini mitologiche da ricercare nel novero delle divinità della Grecia classica. Nel caso della futura colonia romana Brundisium, dobbiamo scomodare addirittura una delle massime divinità del mondo greco: Eracle.
L’eroe, infatti, tra una fatica e l’altra ebbe più d’una compagna, tanto è vero che tra la lista degli Eraclidi conta più di una cinquantina di nomi. Oltre alle più note Deianira e Megara, tra le sue avventure figura anche Balezia; proprio da lei Eracle generò Brento.
Il figlioletto è noto per un mito che trova più di una analogia con quello della fondazione della vicina Taranto: Brento fu infatti salvato dai delfini dopo un naufragio, e deposto sul litorale brindisino, dove in segno di riconoscenza decise di fondare una nuova città.
Il delfino è un animale dotato di una valenza simbolica e immaginifica particolare nella tradizione mediterranea: per la sua indole pacifica e giocosa, la sua intelligenza e la sua sensibilità ai suoni e alla musica è presente in molti miti greci, e sempre con ruoli positivi e salvifici.
Il mito più famoso è forse quello di Arione, ricco poeta greco che sulla rotta di ritorno dalla Sicilia a Corinto fu assalito dai pirati e abbandonato in mare aperto; ma grazie al suo ultimo canto prima di essere gettato in acqua, fu trovato e salvato dai delfini, che lo riportarono in patria prima dell’arrivo in porto della sua nave, e addirittura riconobbero i colpevoli facendoli condannare.
Anche Icadio, il fratello di quel Iapige di cui si è parlato qualche giorno fa in terre di Murgia, fu salvato dai delfini nello stretto di Corinto e portato in salvo fino a Delfi, che da allora si chiama così in loro onore (Delphis è il termine greco per “delfino”).
Ma torniamo a Brento: non è facile essere figlio d’arte, così appena fondata Brindisi decide di seguire le orme del padre costruendo due colonne come lui: solo che mentre le colonne di Eracle erano il limite ultimo del mondo conoscibile agli umani, stabilivano un limite che solo la hybris dell’Ulisse dantesco avrà l’ardire di superare, le colonne di Brento costituivano un segno rassicurante, l’avviso ai marinai che la traversata era finita, e che un porto sicuro avrebbe presto offerto riparo dalle intemperie. Meno pretese del padre, insomma.
E quando a Brento giunse la voce che le sue colonne erano meno belle di quelle paterne, pensò almeno di assicurarsi gloria imperitura in altro modo, ovvero dando alla città stessa la propria effigie: e fu così che i seni del porto divennero le sue braccia, il centro cittadino la sua testa.
E ancora oggi la forma di Brindisi, con un po’ di fantasia, ricorda ancora un abbraccio teso ai naviganti in arrivo da Oriente.
E proprio verso Oriente noi si fa rotta, abbandonando le terre d’Esperia per quelle d’Epiro, diretti verso l’Ellade culla dell’umanità.
Reportage di Claudio Mancini