Scandalo. É la parola chiave per raccontare la storia della donna ai pedali. Ma è anche il titolo della poesia con cui Giorgio Caproni raccontava – attenzione: era il 1959, non l’Ottocento – il mormorio dei livornesi di fronte ad Annina, ciclista rea di sfidare il provincialismo in sella alla bicicletta azzurra. Emancipazione. È la risposta con cui, inforcando le due ruote con coraggio, alcune donne eccezionali hanno mostrato di poter fare le staffette partigiane, il Giro d’Italia e del mondo, raggiungere l’India in solitaria e sfidare i tabù che le volevano eterne passeggere.
Ai tempi della draisina, prima bicicletta dotata di sellino e sterzo (ma senza pedali), comparsa nel 1818, pensare alla donna in bici era cosa indecorosa. Per il gentil sesso si inventarono i più sicuri tricicli, per preservarne salute e moralità (leggi pregiudizi e società patriarcale). Da allora attiviste o semplici appassionate che hanno pedalato controvento sono state tante, fino alle contemporanee donne velate.
La sfida di Miss America
Da Parigi a Rouen, il 7 novembre 1869, si presentarono 120 partecipanti, pronti a pedalare con le antenate delle odierne biciclette per 123 chilometri tra le due città francesi. Nella rosa di 34 ciclisti che sono arrivati in fondo, al numero 29 si è piazzata Miss America, che è rimasta nella storia del ciclismo come la prima donna a cimentarsi in una competizione sportiva (e a portarla a termine). Pur mantenendo segreta la sua vera identità, com’era consuetudine a quel tempo, pare che fosse una lady inglese, Mrs Turner, che raggiunse il traguardo in poco più di 12 ore.
Il giro del mondo di Miss Londonderry
Miss Annie Londonderry è stata invece la prima donna a fare il giro del mondo in bici. E non si fece mancare neppure gli sponsor (Londonderry era il marchio dell’acqua minerale che pubblicizzò durante la traversata). Partì il 25 giugno 1894 lasciandosi alle spalle (temporaneamente) il proprio vero nome, Mrs Annie Kopchovsky, tre figli e un marito nel Massachusetts. La scommessa che accettò non solo prevedeva il suo ritorno entro 15 mesi dalla partenza, ma anche che nella strada riuscisse a guadagnare 5mila dollari. Nonostante le critiche di aver viaggiato più “con” che “sulla” bicicletta, riuscì a tornare a Boston il 24 settembre 1895, portando a termine un’impresa epica e vincendo la posta in gioco: 10mila dollari.
Il best seller dell’attivista americana Frances Willard
A riflettere nero su bianco sulla bicicletta come mezzo di cambiamento sociale ed emancipazione è l’attivista statunitense Frances Willard. Nel suo libro How I learned to ride the bicycle, pubblicato nel 1895, Willard racconta di come, anche all’età di 53 anni, è possibile scoprire la bicicletta e usarla non solo come mezzo di trasporto, ma soprattutto come esercizio di consapevolezza, per essere finalmente padrone del proprio destino.
Alice Hawkins, la suffragetta che girava in bici e pantaloni
A Leicester, nel cuore della vecchia Inghilterra, fu invece la suffragetta Alice Hawkins a pedalare per i diritti delle donne dando scandalo. La sua colpa? Indossare i pantaloni e promuovere il diritto di voto per tutti. Era il 1911.
Alfonsina Strada, l’unica donna del Giro d’Italia
Il sangue caldo emiliano l’ha portata davvero lontana, a gareggiare nelle competizioni maschili, fino all’ultratestosteronico e off limits Giro d’Italia, nel 1924. Alfonsa Morini, nata nel 1891 a Castelfranco Emilia, impara a pedalare con la bici del padre, bracciante agricolo. La passione per le due ruote cresce con l’età, finché i genitori non le intimano che per continuare a pedalare (e gareggiare) l’unica via è sposarsi. Lei incontra Luigi Strada, che diventerà presto suo marito, sostenitore e manager. È proprio il caso di dire: dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo.
La Resistenza delle donne: Oriana Fallaci
Due trecce attorno a un viso di bambina. La bicicletta camuffata da una bandiera nazista affiancata a quella del Regno d’Italia. È la fotografia di Oriana Fallaci ai tempi di Giustizia e Libertà. Quando la futura giornalista e scrittrice, durante la seconda guerra mondiale, fa da staffetta per trasportare munizioni da una parte all’altra dell’Arno, rigorosamente su due ruote. Con il nome di battaglia Emilia, la Fallaci scortava i prigionieri alleati fuggiti, consegnava armi, messaggi segreti e stampa clandestina. Il suo coraggio, che la porterà in prima linea per tutta la vita, parte con una bicicletta a Firenze, ad appena 14 anni.
La Rolls Royce di Brigitte Bardot
Negli anni Sessanta anche la bicicletta si trasforma e si avvicina sempre di più alle donne. Se già nel 1940 era comparsa la bici con telaio femminile, che permetteva di montare senza intoppi ed evitare pose allora sconvenienti, è nel 1964 che si trasforma in simbolo di libertà e stile nel mondo delle due ruote. Ed è la Graziella, pieghevole ed elegante, ad aprire un nuovo capitolo per la bicicletta in Italia. La testimonial non può che essere un’icona di stile. La scelta cade sulla mitica B.B., che cavalca in jeans e stivali la sua “rolls royce” a pedali.
Dervla Murphy, dall’Irlanda con furore
Negli stessi anni l’avventuriera irlandese Dervla Murphy partiva per il suo primo lungo viaggio. Nel 1963 Murphy, con la sua bici Rozinante, attraversa Europa, Iran, Afghanistan, Pakistan per raggiungere l’India. Si fermerà lì per lavorare con i bambini rifugiati tibetani prima di tornare a casa. Poi racconterà l’esperienza nel suo libro Full Tilt: Ireland to India with a Bycicle. Seguiranno numerosi altri viaggi in Asia, Africa e America Latina, riportati in oltre venti libri. Ottantaquattrenne combattiva, si occupa ora della sua organizzazione benefica per il turismo sostenibile e ha trasmesso la passione per i viaggi a figlia e nipoti, che vivono in Italia.
L’attivista yemenita Bushra Al-Fusail
Mezzi di trasporto ordinari, spesso dimenticati, in tempo di guerra le biciclette possono diventare un messaggio di speranza per superare ingiustizie e rassegnazione. Bushra Al Fusail, fotografa ventottenne di Sana’a (Yemen), ha portato le donne yemenite per le strade della capitale, in bici. Un modo per non smettere di sperare, nonostante le incursioni aeree e per non essere vittime anche della mancanza di carburante. In un Paese sull’orlo della guerra civile, Al Fusail ha avuto il coraggio di mettere in pratica un’idea semplice ma molto efficace: Non arrendersi, e mettersi a pedalare. «Lo Yemen è sotto attacco delle forze saudite. È stato quando hanno chiuso i rifornimenti di benzina a Sana’a che ho pensato alla bicicletta. Il ciclismo non appartiene alla nostra cultura, ma in questo periodo difficile è facile incontrare uomini in bicicletta. Così loro riescono ad avere una routine. Non è così per le donne invece, costrette ad aspettare anche tre ore sotto il sole un mezzo pubblico per poi essere spesso vittime di molestie. Quando è diventato difficile anche andare al lavoro o al supermercato ho chiamato a rapporto le mie amiche e ho chiesto: iniziamo a pedalare? Dobbiamo mantenere le nostre routine e non arrenderci alla guerra». Così è nata la #Yemeniwomenbikecampaign. La nuova frontiera delle donne in bici, ai tempi dei social network.
Silvia Ricciardi