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La si usa chiamare “fixed” non solo per moda, ma più che altro per ricordare l’estrazione anglosassone – o più precisamente a stelle e strisce – di questa specialità che riprende tutto quel che di spettacolare e adrenalinico c’è nel ciclismo: dalle gare a criterium riprende la formula del percorso a circuito che addestra gli atleti ed entusiasma gli spettatori; dal ciclismo su pista riprende la lucida follia di bici senza freni e senza ruota libera; dalle gare a cronometro riprende la velocità di tratti percorsi sul filo dei sessanta all’ora; dalle gare di ciclocross riprende l’intensità di uno sforzo “a tutta” che dura meno di un’ora; dalle gare su strada riprende il tatticismo estremo che porta i migliori a tallonarsi per quasi tutta la gara per poi giocarsi la vittoria all’ultima curva; tutto questo con biciclette splendide nel loro minimalismo e nella loro essenzialità, più o meno come succede per le biciclette da pista. Lo avrete capito, stiamo parlando delle bici a scatto fisso, da qualche anno assai popolari sia nei contesti urbani come mezzo di spostamento, sia nelle competizioni ufficiali di questa coinvolgente specialità.
Bici minimalistica, essenziale
Quel che piace delle scatto fisso e che le rende incredibilmente modaiole e di tendenza è il loro essere minimaliste, il loro saper ridurre la bicicletta alla sua essenzialità tecnica fatta di un telaio, una sella, un manubrio e due ruote azionate da una trasmissione a una sola velocità, priva di ruota libera: via i pignoni, via i deragliatori e soprattutto via i freni, per rendere la bici quasi uno schizzo, un oggetto performante e allo stesso tempo elegante, con cui muoversi agili prima di tutto per le congestionate vie delle città.
Come è nata
Le fixed, e assieme a queste le competizioni di fixed, nacquero negli Usa una trentina di anni fa in modo assolutamente spontaneo, quasi clandestino e autogestito. Le prime gare erano prove improvvisate e autogestite tra bike messanger, che si sfidavano con le loro bici da lavoro – appunto tutte priva della ruota libera – nel traffico delle metropoli americane. Da qualche anno, invece, la disciplina dello scatto fisso è stata riconosciuta e codificata a livello normativo e anche da noi in Italia ha anche un campionato nazionale sotto l’egida FCI.
Dalle fixed alle single speed
La necessità di coniugare lo stile modaiolo delle fixed con la sicurezza richiesta nella guida in città ha generato un “sottogenere” delle fixed, quello delle single speed, che come le prime hanno sempre una moltiplica unica, gestita però da un meccanismo di ruota libera, che a sua volta comporta anche l’adozione di freni (seppur di tipo minimalistico e talvolta limitati al solo freno anteriore). Le single speed hanno dunque tutte le caratteristiche estetiche delle fixed e a queste aggiungono la sicurezza della loro gestione di marcia conforme a una bici “convenzionale”, la leggerezza della loro componentistica ridotta all’osso e la scorrevolezza di una geometria quasi in tutto mutuata dalla bicicletta da corsa. L’assenza del cambio di velocità destina le single speed a contesti urbani, dove non c’è molta salita, anche se la loro estrema leggerezza le rende biciclette adatte anche ad affrontare strappi di un certa pendenza, soprattutto se a utilizzarle sono utenti allenati e non troppo avanti con l’età, come è in genere è la platea privilegiata di questa bici giovane e “stilosa”.
La vera scatto fisso
Se dall’ambito più “generalista” delle single speed passiamo al mondo specialistico delle vere fixed il discorso si fa decisamente più specifico e settoriale: in Italia sono circa trecento gli atleti che si cimentano nelle competizioni di bici a scatto fisso.
Quasi nessuno di loro pratica la disciplina in modo esclusivo, ma di solito la alterna con il ciclismo da strada, con il ciclocross o con la pista, che tecnicamente è la tipologia di bici più imparentata con le fixed. In realtà, a parte l’ingresso posteriore della ruota, a parte l’assenza di freni e a parte l’impiego di un rapporto fisso, la fixed è più imparentata a con una bici da strada che con una da pista; lo è per il tipo di ruote e soprattutto lo è per la geometria, con angoli meno dritti e con una lunghezza maggiore rispetto alle bici da pista. Sì, perché guidare una bici da pista sui tracciati nervosi dei circuiti di fixed sarebbe impossibile. Passando alla moltiplica, questa varia a seconda del tracciato o delle caratteristiche del corridore, ma in ogni caso l’accoppiata “corona+pignone posteriore” deve generare uno sviluppo metrico mai tanto lungo da dover poi obbligare ad una grande forza sia per rilanciare la bici, sia per decelerarla prima di una curva. Le curve dei circuiti di fixed sono spesso secche, a 180 gradi, autentiche rasoiate per i muscoli, perché in queste gare senza freni la decelerazione è faticosa tanto quanto quella del rilancio dopo ogni curva. Anzi anche di più. Più in curva arrivi lanciato, più rallentare per affrontare la curva costa fatica.
Come quelli delle altre discipline, anche gli specialisti delle fixed aspettano e sperano che quest’anno si possa tornare a gareggiare con regolarità e normalità; ma intanto per chi non resiste ci sono comunque le single speed, che abbiamo visto essere un’ottima opzione per le nostre “giungle” urbane.