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Oggi viagginbici.com, racconta il diario di viaggio di Simone Colarossi, da Pescara alle Dolomiti. Simone, ci è piaciuto perché è riuscito a raccontare e l’entusiasmo vero di chi ama la natura in modo viscerale, proprio come piace a noi….
Simone Colarossi, ha 24 anni e frequenta l’Università degli studi di Teramo dove studia Giurisprudenza. Adora praticare molti sport tra cui: calcio, ciclismo, sci, corsa, escursionismo.
“Un bacio sulla guancia di mia madre, una stretta di mano con mio padre. Così ha inizio la mia avventura, il mio viaggio immerso nel verde delle Dolomiti.
La bici era pronta ormai da giorni, io ero pronto da una vita. Ed eccomi lì nella stazione di Pescara, 5 del mattino pochi minuti alla partenza, ero euforico, mi guardavo intorno. C’era un clochard disteso sul pavimento sporco, una guardia sorvegliava con aria annoiata, un anziano sfogliava un giornale seduto nel bar che cominciava a distribuire i primi cornetti caldi. Come un soldato che parte per la guerra, io partivo per la mia battaglia con la natura, armato di curiosità e passione, affamato di vita.
Sul treno che mi portava a Peschiera del Garda osservavo il viso di ciascun passeggero, ognuno di loro aveva una storia da raccontare. La mia invece sarebbe cominciata una volta aperte le porte del treno, come un sipario che dia l’avvio ad uno spettacolo teatrale, le porte si spalancarono e venni travolto da una vampata di caldo tipico di una giornata estiva. Un formicaio di turisti intanto si dislocava lungo le coste del Lago di Garda, mentre io, in sella ad una umile bicicletta, mi lanciavo verso un campeggio a Torri del Benaco. La modesta tenda da quattro soldi che avevo, si è dimostrata una casa mobile ideale per il viaggio. Una tana in cui progettavo le giornate, in cui mi riparavo dalla pioggia e dal freddo che incombevano prepotenti nella notte. (1)
28 luglio Torri del Benaco(8:00) – Trento 80 km(16:00):
Il secondo giorno ho ripreso a pedalare spedito lungo le infinite ciclabili che circondano il lago, la bici scivolava via lungo l’asfalto bagnato per via del diluvio della notte precedente. Tuoni e fulmini si sono infatti scagliati violenti sul posto rendendo la nottata più complicata di quanto avessi potuto immaginare. Ma io proseguivo più determinato che mai verso il capoluogo del Trentino Alto-Adige, curioso come un bambino, veloce come il vento.
Trento mescola arte e natura in un legame indissolubile che la rende una meta ideale per tutte le stagioni. Una volta entrato in città venni colpito dallo sguardo delle persone non abituati alla vista di un cicloturista. Districandomi dalla folla riuscii a superare un gruppo di turisti, poco coinvolti da una guida pur entusiasta del suo lavoro. Ho raggiunto il B&B per passare la notte, la proprietaria mi accolse con un sorriso luminoso, fornendomi tutto l’occorrente per passare una notte di confort. Un eccellente toccasana per recuperare le energie perdute.
Alzato di buon mattino pronto per un’altra dura giornata di fatica, la bici mi fece un brutto scherzo. La ruota anteriore era completamente sgonfia, così cercai un benzinaio dove riparare l’inconveniente e, domandandogli la strada ideale, mi avvertì altresì di quanto cammino c’era da percorrere. Con un sorriso beffardo e con l’incoscienza di un ragazzino lo ringraziai e scappai via dicendogli ‘ho una giornata davanti’. Era proprio quello che andavo cercando.
29 luglio Trento(8:00) – Vigo di Fassa 90 km (18:00):
Le valli in Trentino oltre ad offrire scenari mozzafiato raccontano anche storie. Tra queste si narra di strane creature protagoniste di alcune leggende che appassionati di esoterismo amano condividere. In particolare di gnomi, fate o elfi che popolano queste terre nascondendosi da occhi indiscreti. Pedalando verso la meta successiva e ingannando lo sforzo tra una salita e l’altra, ho immaginato di trovarmi di fronte questi esseri per poi vederli scappare tra la fitta vegetazione. Un brivido lungo tutto il corpo mi fece tornare alla realtà, consapevole più che mai della mia solitudine. A dire il vero la ‘Fata delle Dolomiti’ l’ho incontrata entrando in Val di Fassa. Moena mi ha accolto con il suo pittoresco centro storico, degno di essere immortalato con alcuni scatti. Nonostante l’incantesimo che avvolgeva quella cittadina, la ricompensa mi attendeva a Vigo di Fassa, con il maestoso gruppo del Catinaccio. Quella notte l’avrei trascorsa in tenda presso un campeggio. (2)
30 luglio Vigo di Fassa – rifugio Paolina (senza bici) – 31 luglio rifugio Paolina – Rifugio Roda di Vael (senza bici):
Nei due giorni seguenti il Catinaccio mi ha inghiottito nella sua favola, la prima notte ho alloggiato nel Rifugio privato ‘Paolina’, dimora di ilarità e cortesia, mentre la seconda al rifugio ‘Roda di Vael’ raggiunto con una comoda escursione di circa 45 minuti. Un’esperienza che può essere raccontata solo con le emozioni ma che per dovere di cronaca mi limito a descrivere un momento particolare. La sera mi sono allontanato dal rifugio e sono salito su una roccia che sembrava voler essere un trampolino per il cielo. Da lontano alcune luci delle camere si spegnevano, gli ospiti si coricavano per affrontare le escursioni dell’indomani. Io rimasi fuori a vivere una serata fatta di magia e incanto disteso sotto un cielo stellato a contemplare l’immensa maestà di tanta bellezza.(3)
1 agosto rifugio Roda di Vael (9:00) – Malga Ciapela 35 km(14:00):
Alle prime luci del dì mi rimisi in viaggio, questa volta sfidando la pioggia insidiosa che mi accompagnò fino a Canazei. Il tema era sempre lo stesso. Le piste ciclabili si snodavano come serpenti intrufolandosi fra i boschi, turisti impegnati a praticare gli sport più svariati, un clima surreale ed idilliaco ai piedi della Marmolada.(4) Il Passo Fedaia mi chiamava. Dicono che il rampichino serva per chi non sia allenato e per godersi il panorama, ebbene in quella situazione questo rapporto era d’obbligo. La montagna era troppo vicina e sembrava volersi stringere ancora di più a mano a mano che salivo, ma una volta in cima, lo sforzo e la fatica si trasformarono in soddisfazione e stupore. Il lago Fedaia si stendeva lungo la valle accompagnandomi all’imbocco di una discesa che mi avrebbe condotto all’unico campeggio di Malga Ciapela.
2 agosto Malga Ciapela (9;00) – Cortina 45 km (15;00):
Da qui a Cortina avevo due possibilità, intraprendere il noto passo Giau leggendario per la tappa del giro d’Italia oppure quello consigliato dai più, il passo Falzarego più leggero (si fa per dire!) che mi accinsi a percorrere. Una volta giunto al rifugio al vertice del passo, una breve sosta anticipava una lunga discesa che conduceva a Cortina d’Ampezzo, in cui ho trascorso il mio ultimo giorno in tenda.(5)
3 agosto Cortina (10:00) – rifugio Locatelli 17 km (15:00):
Ancora non riuscivo a credere che le Tre Cime di Lavaredo fossero così vicine, ciò che avevo desiderato raggiungere era a pochi chilometri da me e ci sarei arrivato il giorno dopo. Da come avevo appreso informandomi su internet e consultando persone del posto, era vietato portare la bicicletta sino al rifugio Locatelli, dunque decisi di posteggiarla in campeggio e continuare il tragitto in autobus e a piedi. Qui ho alloggiato e per tutta la giornata ho avuto una finestra sul paradiso. Le Tre Cime di Lavaredo somigliavano alle dita di un gigante intento a distruggere la montagna che le imprigionava. Quella sera gli ospiti del rifugio si radunavano alle soglie di questo spettacolo, chi per sorseggiare una birra in compagnia di amici, chi per fotografare il firmamento. Le risate ed il mormorio in sottofondo sembravano quasi voler disturbare la tranquillità e il silenzio del posto. Io ero fuori con la mia pinta a vegliare le cime e le stelle, nel rispetto della natura e di chi ci protegge da lassù, conscio che di lì a qualche ora sarei stato di nuovo catapultato in una realtà opposta. Riunendomi a ciò che avevo lasciato. Un bacio sulla guancia di mia madre, una stretta di mano con mio padre”(6)
Reportage Simone Colarossi