La prima maratona non si scorda mai, neanche con il freddo ed il brutto tempo!
Arrivo a Corvara il venerdì, con il cuore che batte forte per l’emozione. Questa è la mia prima volta alla famosissima Maratona dles Dolomites. Negli anni passati non c’è stato verso di entrare e quindi per me questa manifestazione ha assunto i contorni del desiderio irrealizzabile, ma ora grazie a Rigamonti che mi ha sponsorizzato, sono qui.
Sono appena arrivato e non smetto di guardarmi attorno, e penso che l’Unesco ci ha visto giusto a dichiarare queste montagne patrimonio dell’umanità.
Fatto il check in comincio a gironzolare (in bici ovviamente) godendomi lo spettacolo di tutte queste bici, una più bella e tecnologica dell’altra che riempiono di colori il panorama dalla luce un po’ cupa e pieno di nubi e contrasti, molto sturm-und – drang.
Ovunque gonfaloni e installazioni speciali “biciclettizzano” il paesaggio per dichiarare al mondo che per questo weekend non c’è nè per auto nè moto nè quod.
Fino a domenica questo patrimonio è nostro, di un’umanità variegata, ma tutta colorata, sportivissima, agguerrita, eccitata, molto tecnica e rigorosamente su due ruote.
Mi allungo fino al Villaggio, a Pedraces, dove i ciclisti sono ancora di più. Gironzolo per gli stand fino ad arrivare a quello del mio sponsor, che mi omaggia, in anteprima, di un prodotto interessante e comodo anche per gli sportivi, si chiama infatti Quando e dove vuoi, è uno stick tutto di bresaola.
Il giorno dopo resisto alla tentazione di buttarmi a capofitto in quella meraviglia di strade, il sogno di ogni ciclista appassionato, e decido di “tenere le gambe per il giorno dopo” e ripiego quindi su una sgambatella veloce e agile. Intanto il cielo è sempre più grigio, gonfio di pioggia che a tratti e improvvisamente scarica giù come delle docce ghiacciate.
E’ verso sera che l’eccitazione comincia a montare, colorandosi di agitazione con leggere sfumature d’ansia.
Il primo domandone epocale da affrontare e a cui dare la risposta giusta, viste le condizioni meteo è “cosa mi metto?” Mi vesto a cipolla, ovviamente, con tanti strati, ma quanti? E quali? E se poi viene caldo, le cose che mi tolgo, dove le metto? E via con la “prova costume” un infinito metti e togli, arrotola e infila nelle tasche, no così non ci sta, allora magari questo e non quello, con il letto coperto di magliette, capi tecnici, pantaloni, ma lunghi o corti? O corti coi gambali?
Ora della cena, molto british, vista la sveglia che ci aspetta, mi coglie invece nel “cosa mi porto da mangiare?” il carboload l’ho fatto fino ad oggi, ma da domani bisognerà calibrare la cambusa da gara con grande attenzione se non si vuole rimanere a metà di una salita senza benzina. E allora vai di integratori, carboidrati, ma anche le proteine sono necessarie e i sali minerali. La bresaola è perfetta in questo caso è magra e leggera ma ha tutto quello che serve per fare andare le gambe: proteine e sali minerali a go gò, e viste le dimensioni gli stick, mi sembrano perfetti. Aggiungo un paio di banane, ci fosse mai troppa coda ai ristori.
Mentre a tavola il tormentone è uno solo. Tu quale fai? E se piove, la fai lo stesso? Ma il lungo, qualcuno lo fa? Io faccio il medio…o il lungo…no magari guarda se c’è questo tempo faccio il corto, e così via.
Appena a letto, invece, parte il mantra di tutti i ciclisti di tutte le maratone della storia: devo dormire devo dormire devo dormire, ma come tutti i ciclisti di tutte le suddette Maratone resto sveglio ad ascoltare il battito del cuore che nell’ agitazione pre-gara, diventa la cadenza di pedalata: bam bam bam bam.
Alle quattro, quando suona la sveglia ho già gli occhi sbarrati come se avessi bevuto 15 caffè.
Partiamo prima dell’alba, per percorrere i pochi chilometri che ci separano dalla nostra griglia, vestiti come Fantozzi alla partita di tennis.
Il cielo è grigio e l’aria è frizzante e freddissima, ma non sembra voler piovere, non ancora almeno. Anche così queste montagne son belle da paura, tagliate in due da una lunghissima striscia di bici, della quale letteralmente non si vede la fine.
Sono solo le 5 e mezza quando arriviamo in griglia ma non sono mai stato più sveglio. E alla fine l’aria si riempie di attesa, le migliaia di persone su altrettante biciclette si fanno immobili fino al colpo sparato dal cielo: si parte.
Anche se noi siamo abbastanza avanti, ci vuole una mezzora buona, prima di muoversi verso il primo dei tanti passi di oggi: il Campolongo.
All’inizio è quasi difficile farsi strada, siamo ancora molto compatti, quasi pressati, a parte i fenomeni che passano zigzagando per scappare via rischiando l’effetto domino della caduta.
Arriviamo in cima al Campolongo che quasi non me ne sono accorto, ipnotizzato com’ero dalla magia di quei posti, completamente coperti dalle bici in movimento.
L’unico rumore percepito è il sommesso ronzio dei cambi. La discesa, bellissima e liberatoria, non mi fa neanche paura come pensavo, basta fare attenzione e non lasciarsi prendere la mano dall’entusiasmo. Devo solo stare attento e non farmi distrarre dal paesaggio che è davvero mozzafiato.
L’unico problema di questa prima discesa è la temperatura che è così bassa da togliere sensibilità a mani e piedi. Ma dura poco e in un attimo siamo giù pronti per attaccare il mitico Pordoi. Ed è lì che davvero mi innamoro: il Pordoi è la salita più bella che si possa immaginare, 33 tornanti di pura perfezione, che danno ritmo alle gambe e una tregua agli occhi, rendendo l’ascesa simile a una danza, ritmata.
Arrivati in cima, uno sguardo in basso vale tutta la fatica e anche di più, la strada, lunghissima disegnata come un serpente, sembra viva e in movimento perchè i ciclisti la tappezzano tutta.
Quando sono in cima però mi accorgo che per il freddo non mi sono scoperto salendo (big mistake, big, huge) e adesso sono fradicio. Che avrò ancora più freddo in discesa, è una certezza, ma in più ho perso tutte le sostanze che se ne vanno col sudore. Comincio a essere vagamente preoccupato, e molto fiacco e per perdere tempo, scatto foto di questo posto che neanche le nubi o il cielo carico di presagi acquosi riescono a rendere meno bello.
Mi torna in mente l’omaggio di Rigamonti.
Il Quando e dove vuoi che avevo riposto in una tasca, mi appare ora come un Qui e Subito perfetto. Mentre mangio quei deliziosi bastoncini di bresaola magra e saporita, sento le forze e un po’ di calore tornare prontissimamente al loro posto. Ce la posso fare, dico a me stesso e parto baldanzoso. Affrontata la discesa del Pordoi sull’altro versante, arrivo all’attacco del Sella così infreddolito che non mi chiedo nemmeno se ce la farò, tanto mi pare confortante l’idea di scaldarmi i muscoli con un po’ di watt. Ma il cambio di pendenza discesa -salita è così repentino che con la mente un po’ alterata da freddo emozioni e fatica, non faccio in tempo a cambiare la corona davanti e a momenti mi blocco su un rapporto troppo duro come l’orsetto del luna park.
Il Sella è decisamente una bella sfida. Più solenne, diciamo meno piacione del Pordoi, decisamente più ripido e fortunatamente molto più corto. L’inizio, per me che amo le curve è stata la parte più dura, perché ci sono dei brevi rettilinei che ti ingaggiano la testa ancor prima delle gambe, ma poi arrivano i tornanti che sono completamente diversi da quelli del passo precedente, sono spigolosi e impegnativi e ti costringono ogni volta a un veloce fuori sella.
Ma alla fine ce la faccio e arrivo in cima abbastanza baldanzoso sgranocchiando l’ultimo bastoncino di bresaola. Ed è qui, che commetto l’errore numero due.
Avevo letto infatti che il Gardena ha una pendenza media veramente bassa, per me che vengo da quei due campioni di altimetria, il 4%, un gioco da ragazzi. E così, “mi sento arrivato”. Mai, mai dare per scontato un passo dolomitico! La pendenza è bassa perché esso stesso contiene una discesa. Ma quando l’ho scoperto ero già lì che faticavo e mi sembrava di non arrivare più. L’ultima discesa però, lunga e magnifica, mi ha ricompensato abbondantemente, e alla fine il passaggio tra la folla, mi ha fatto sentire un vero ciclista.
Arrivato al bivio corto-medio però non avevo dubbi. Ho fermamente tenuto la sinistra verso il traguardo. Per stavolta basta così, voglio tenermi un po’ di sorprese ed emozioni anche per la prossima volta.
Grazie a queste splendide Dolomiti e grazie due volte a Rigamonti, una per avermici portato e l’altra per avermi dato i fantastici Quando e dove vuoi in dotazione!