«Scusi, per la terrazza Mascagni?». «Guardi, non può sbagliare: tutt’a dritta per via Carducci, supera il Cisternone e prosegue su piazza della Repubblica. Di lì avanti fino al monumento ai Quattro Mori e imbocca il lungomare a sinistra, fino alla terrazza. Ma c’è da pedalare un po(c)hino, sa…». L’ignara signora non può immaginare che quel pochino di strada per la terrazza Mascagni è solo la prima breve tappa che mi aspetta per raggiungere Cecina, lungo la ciclovia Costa degli etruschi.
A Livorno questa mattina anche di vento ce n’è po(c)hino, ma appena smonto dal treno con la bicicletta l’accoglienza è splendida: salire e scendere dai binari è un gioco da ragazzi. Le barriere architettoniche non sono il solito problema da ciclisti, grazie ai comodi scivoli che affiancano le scale. Penso che a volte basterebbero interventi così minuscoli per migliorare la vita e promuovere il tanto discusso trasporto intermodale…
Qualcosa va storto nel tragitto che non potevo sbagliare. Mi ritrovo a raggiungere la terrazza Mascagni dal lungomare opposto. Non è un male. Superata l’Accademia Navale incrocio un gingillo di piazza che si apre sul mare con un gran panorama. Le onde si frangono invadenti, raggiungendo le panchine di pietra di viale Italia. Finalmente un po(c)hino di brezza. Sono in piazza San Jacopo in Acquaviva e insieme a me arriva un folto gruppo di cicloturisti tedeschi con immancabili caschetti e le solide bici nere tutte uguali. In effetti qui c’è un’ottima ragione per sostare (oltre alla posizione strategica): la chiesa di San Jacopo, con la sua cripta antica che risale al IV secolo.
Poco meno di tre chilometri mi separano dalla terrazza Mascagni. Non so cosa aspettarmi, ma gli amici toscani mi han detto che vale proprio la pena passare di là. Oltrepasso gli ottocenteschi Bagni Pancaldi e mi ritrovo in questa elegante e sinuosa scacchiera che si appoggia sul mare. Al posto di re, regine, alfieri e pedoni, vi si incontrano innamorati, sportivi, pescatori e turisti. La terrazza Mascagni è un arabesco gigante da cui ascoltare il rumore del mare. È bello immaginarla al tramonto, pervasa dalle note della Cavalleria rusticana, in piedi sul gazebo il maestro Mascagni in frac, con un sigaro toscano e la bacchetta, pronto a dirigere la sua orchestra. A due passi c’è l’acquario di Livorno.
Ancora non conosco i colori e i profumi della Toscana marittima. Lancio un’occhiata alla mia vecchia city bike un po’ sgarrupata. Tra poco sarà dura senza dei buoni cambi. Pedalo verso sud, proseguendo sul lungomare ciclabile di Antignano fino alla Vecchia Aurelia, un serpentone d’asfalto che costeggia il mare e si fa via via più ripido fino alla Torre del Romito. Pedalata dopo pedalata mi ritrovo immersa nella macchia mediterranea, in lontananza, sul promontorio, il castello Sonnino, un miraggio sospeso tra mare e cielo che sarà un’impresa espugnare senza allenamento. Scorci magnifici raccontano la costa in poesia tra Calafuria e Quercianella. Alla cala del Leone vale la pena di parcheggiare per un po’ la bicicletta, godersi l’insenatura di falesie, per poi ripartire alla volta di Castiglioncello.
Oleandri in fiore, pinete marittime e lussuose residenze estive a strapiombo sul mare tracciano il percorso che – non sorprende – ispirò i Macchiaioli. Nel cuore del centro, in piazza della Vittoria, si nasconde tra gli alberi il castello Pasquini. La struttura sembra medievale, ma mi basta una scorsa alla pagina di Wikipedia per scoprire che solo da fine Ottocento sovrasta il grazioso paese, passando di mano in mano fino all’abbandono e alla recente rinascita come centro culturale e spazio di condivisione.
Lascio Castigliocello a malincuore. A due chilometri c’è Rosignano Solvay. Attraversando il paese raggiungo la via ciclabile protetta che affianca l’Aurelia. I miei occhi si scontrano con lo stabilimento Solvay, tanto importate da dare il nome a questo luogo, ma con un impatto paesaggistico e ambientale a dir poco discutibili.
La ciclovia si fa sempre più piana e monotona da queste parti. Si incontrano Vada e la zona della Mazzanta, costellata di campeggi. Prima di arrivare a Cecina e la sua Marina è il momento di riposare. Il sole d’agosto, senz’alberi sul ciglio della strada, rischia di arrostirmi. Questa è la zona giusta – mi dico – per fare un po’ di mare. Finalmente al riparo dalla luce incandescente attraverso, un po’ per caso, la Riserva naturale Tomboli di Cecina. A risvegliarmi dal torpore è il frinire prepotente delle cicale che echeggia all’ombra dei pini marittimi. Mancano pochi chilometri alla stazione di Cecina. La mia pedalata finisce là. Fortunati gli etruschi, ma ancor più i toscani che continuano a vivere da queste parti.