Prosegue il mio tour in bici lungo le vie d’acqua lombarde; il secondo giorno da Crema a Cornogiovine, che mi ha avvicinato alla
via francigena lombarda.
Il Terzo giorno pedalo da Cornogiovine a Pavia
Che freddo! Non appena metto il naso fuori dalla tenda sbatto contro un muro di nebbia gelida che mi fa fare dietrofront nel mio sacco a pelo. Meno male che Giancarlo mi ha prestato le due coperte, sennò probabilmente avrei sofferto il freddo. Sono le sei e mezza, fuori è ancora scuro, ma voglio cominciare a pedalare presto e allora mi arrischio ad uscire per cominciare le macchinose operazioni di impacchettamento della tenda e dei bagagli.
Non appena finisco di sistemare le borse sulla bicicletta arriva Giancarlo, che mi invita a fare colazione; contento di vedermi sopravvissuto alla notte gelida, insiste nell’offrirmi anche la colazione. Saluto il mio nuovo amico, mentre io mi dirigo verso l’alimentari per la seconda colazione, due gigapanini con la marmellata consumati nella piazza del municipio, invasa dai bambini che aspettano il suono della campanella della scuola.
Ricomincio a pedalare seguendo l’alzaia del colatore Allacciante – Gandiolo che ho lasciato ieri sera, ma il panorama intorno a me è decisamente cambiato.
La nebbia colora tutto di bianco e grigio, l’erba ai fianchi della strada è coperta di rugiada, ed io avanzo stringendo i denti dal freddo, con le dita dei piedi e delle mani congelate nonostante i guanti e il doppio paio di calze. Alzo lo scaldacollo fino a coprire naso ed orecchie, era da un bel po’ che non soffrivo così il freddo, nemmeno sul Pasubio con la nebbia qualche settimana fa… Il paesaggio è di una tristezza infinita e non trovo molta soddisfazione nel pedalare, così che cerco di aumentare il ritmo, almeno mi scaldo un po’!
Dalla nebbia mi aspetto che esca Fucur cavalcato da Atreiu, pare che ci sia Il Nulla a circondare me e Katia. Dopo qualche chilometro, dal Nulla spuntano delle grandi infrastrutture, seguite da un rumore familiare, il treno! Mi ritrovo in mezzo a tre grandi viadotti, uno per la linea dell’Alta Velocità, mentre gli altri due sono per treni più lenti ed umani. Nel giro di pochi minuti vedo passare ben tre Frecciarossa ed un Italo, mentre non passa nessun treno regionale.
Dopo appena due chilometri mi tocca superare prima la Via Emilia, due corsie per direzione e centri commerciali abbandonati al lato e poi l’Autostrada del Sole. Non oso immaginare come possano sentirsi gli abitanti di questa zona, tra smog, rumore, paesaggi rovinati da questi grandi viadotti e una nebbia costante in autunno. Meno male che in mio soccorso arriva il colatore Ancona, che mi riporta in aperta campagna. Il sole lotta con le nuvole per poter uscire allo scoperto, ma a parte qualche breve attimo pare proprio che oggi la giornata rimarrà grigia.
Lungo al canale svolazzano gli aironi, mentre i campi alla mia destra sono punteggiati di balle fatte con i resti del granturco. Che spettacolo, adoro le balle di fieno, con gli amici giocavamo sempre a spingerle in estreme prove di forza.
Ad un certo punto, in lontananza noto che il sentiero che segue l’alzaia è interrotto da scavatrici e camion. Mi avvicino con cautela e noto gli operai stanno lavorando alle sponde del canale: è colpa delle nutrie – mi spiegano – hanno scavato così tanti buchi che ormai le sponde del canale stanno collassando. Incredibile come questi toponi possano fare così tanti danni, nell’orto di mio padre al massimo si erano specializzate nel furto dell’insalata… La fine del colatore coincide con
Corte Sant’Andrea, un’importante frazione sul percorso della Via Francigena: al tempo del vescovo Sigerico di Canterbury era proprio qua che si guadava il Po attraverso delle barche, per poi riprendere il cammino a sud, verso Roma. Purtroppo ora la piccola frazione non si trova in un buono stato, parecchi edifici sono crollati ed abbandonati. Entrando nel paesino passando sotto il grande arco monumentale si può immaginare come fosse vivace la vita a quel tempo e come fosse importante per i pellegrini trovare accoglienza e ristoro prima del guado, ma ora la situazione è piuttosto desolante.
Il famoso guado lo voglio vedere e con Katia mi avventuro fino alle sponde del Po: una struttura in ferro facilita la discesa verso l’acqua, ma il servizio del barcaiolo è attivo solo alcuni giorni all’anno, principalmente durante il jazz festival locale. Oggi i pellegrini che vogliono camminare sulla Via Francigena hanno la possibilità di superare l’ostacolo del Po a Piacenza, discostandosi dal percorso originale di Sigerico.
Da Corte Sant’Andrea il mio viaggio in bici in Lombardia prende una piega più spirituale, è ora di indossare le vesti del pellegrino penitente e percorrere la Via Francigena, ma all’incontrario! Io voglio solo arrivare a Pavia! Con umiltà e semplicità pellegrina ricomincio a pedalare lungo la storica Via, il percorso è segnato meticolosamente ogni duecento metri con delle colonnine recanti il simbolo del pellegrino e con delle targhe di marmo che poggiano sulla pavimentazione della strada, è praticamente impossibile perdersi.
Come era successo con l’Adda, ora è il tempo di superare l’ostacolo di un altro fiume, il Lambro, che si immette nel Po vicino a Corte Sant’Andrea, ma passare dall’altro lato devo risalire il fiume fino a Lambrina. A Lambrina devo fare rifornimento di cibo, nei prossimi chilometri non incrocerò altri paesini e io non sono un pellegrino così bravo da rispettare anche il digiuno. Anche se, visti i prezzi astronomici del negozietto, avrei dovuto rispettarlo: se a tutti i pellegrini venissero fatti questi prezzi lungo la Via Francigena, dopo non molto dovrebbero fare anche il voto di povertà!
La Via dell’Acqua prosegue senza grandi emozioni, il grigiume imperversa e rende tutto meno interessante. Le uniche emozioni forti le provo quando due grosse nutrie mi tagliano la strada, senza darmi la precedenza. Maleducate. La pausa pranzo la passo vicino alla Chiavica del Reale, ora sede del museo della bonifica. L’edificio perse l’importanza dopo la costruzione della nuova chiavica, ma rimane tuttora il simbolo della bonifica lodigiana: un giretto nel museo lo farei volentieri, ma gli addetti non ci sono, quindi non mi resta che sedermi, mangiare i miei panini ed ammirare da fuori l’elegante edificio in cotto. Non appena salgo in sella a Katia mi accorgo che la ruota posteriore dà ancora qualche problema. Incredibile, un altro raggio è partito… Che ci posso fare, non ho ne’ raggi di scorta ne’ un tiraraggi, quindi non mi resta che proseguire, sperando che gli altri raggi resistano.
Rispetto ai chilometri precedenti in questa parte di pianura ci sono più case, delle vecchie corti che si sono ingrandite, ma che hanno conservato il loro aspetto antico: sorpasso un’osteria abbandonata, che si erige sul resto della pianura come una sentinella (magari per essere sempre visibile agli accaniti bevitori locali!), fattorie con oche, capre e pecore, e persino un gregge di pecore bello grosso, condotto da due pastori macedoni e controllato da quattro cani vivaci. Per il resto, ci sono le solite file di pioppi alla mia sinistra e i campi arati a destra, che mi accompagnano fino ad arrivare a San Zenone al Po. Il paese è attraversato dal fiume Olona e sul ponte che mi permette di attraversarlo è posizionata anche la statua più bizzarra che mi sia capitato di vedere, un’enorme zanzara di ferro! Si vede che qua ce ne saranno così in abbondanza da farci pure una statua…
San Zenone al Po segna anche il mio ingresso nella provincia di Pavia e, stranamente, segna anche la fine delle terre completamente piatte. Le strade infatti risultano spesso leggermente inclinate, come se ci fossero sempre delle micro colline, poco percettibili con un’automobile ma che si fanno sentire con Katia. L’Oltrepò Pavese è famoso per le sue colline, ma si trova appunto dall’altra parte del Po, chissà cosa sono queste, collinette moreniche? Pedalare comunque non risulta faticoso, se non che ci si mette il tempo a rendere il viaggio più difficile. Doveva accadere, le nuvole nel cielo erano troppo gonfie e grigie, e così comincia a piovere. Fortunatamente la pioggia è leggera, ma devo cambiarmi in fretta, indossare mantellina e pantaloni impermeabili e coprire zainetto e borse laterali con il telo. Sulla Via dell’Acqua, l’acqua non me la faccio proprio mancare, ora scende anche dal cielo! Cerco di aumentare il ritmo con la piccola Katia, Pavia non è distante e meno pioggia prendo e meglio sto. La ciclabile del Po si allontana dal fiume e mi porta a seguire la normale rete stradale, lungo stradine secondarie dove il traffico è praticamente nullo, fino ad arrivare a Belgioioso. A Belgioioso dedico una veloce visita al castello e poi sfreccio verso la campagna pavese, seguendo sempre le indicazioni della Via Francigena. Sulle case della piccola frazione di Santa Margherita noto che sono segnati livelli delle piene del Po: la linea dell’anno 2000 è spaventosamente alta, arriva fino al sellino di Katia. Incredibile, se penso che il Po è a più di un chilometro e mezzo da qua.
A tempo record arrivo finalmente a Pavia. Piove ancora, ma la città si guadagna rapidamente la mia simpatia e rimango affascinato dal Ponte Coperto e dalle casette colorate al di là del Ticino.
Per prima cosa cerco un negozio di biciclette e scelgo una ciclofficina gestita da due giovani ragazzi: per le sette Katia sarà perfettamente funzionante! Approfitto dell’attesa per visitare Pavia, per me è la prima volta in questa città, che trovo subito a misura d’uomo e di bicicletta.
Intanto smette di piovere ed esce il sole, così posso godermi appieno la cattedrale e la sua cupola dominante, le numerose chiese (stupenda quella di San Michele), l’antica università, le torri medievali e il possente castello visconteo. Alle sette in punto Katia è pronta e la ruota gira a meraviglia, faccio pure scorta di raggi da 20, e mi avvio verso la casa di Maria, la ragazza spagnola che oggi mi ospiterà a casa sua. Le strade di Pavia sono però piene di insidie e dopo neanche cinque minuti dalla ciclofficina “taaaaac”, rotto un altro raggio! Eh no, quasta è una maledizione! Tre raggi in tre giorni mi sembra un record invidiabile… Non importa, lo riparerò domani, adesso ho solo voglia di un posto al caldo. E la casa di Maria è proprio calda, come calorosi sono tutti i suoi coinquilini, tutti studenti, tre spagnoli e tre italiani che si dimostrano subito gentilissimi con me. E con una compagnia così, nonostante la stanchezza, la giornata non poteva che finire con una bella birretta in una festa d’addio di una ragazza che se ne va in Ecuador… stanco ma allegro!
Quarta tappa direzione Cuggiono.
Reportage di Francesco