- lunghezza: 421 km
- dislivello in ascesa complessivo: 1184 m
- fondo stradale: provinciali asfaltate secondarie, tratti di ciclabile (qualsiasi bici)
IL TOUR DELL’ÎLE DE BEAUTÉ
Ogni isola ha un proprio nome o appellativo, come a sottolinearne l’unicità al mondo, a ricordare che se quelle terre sono state divise dal resto del continente da ettolitri di mare azzurro un motivo ci sarà.
E la Corsica non fa eccezione, avendo nei secoli guadagnato l’epiteto di Île de Beauté, tanta era la quantità di bellezza che rimane a sporcare gli occhi di chi la osserva troppo; ogni colore, ogni forma e ogni odore ti fanno capire che la terraferma è lontana anni luce.
Le sue strade hanno il privilegio di sapersi cambiare d’abito a ogni curva, concentrando una varietà paesaggistica incredibile, alternando spiagge tropicali a profili dolomitici, veri e propri deserti a canyon di granito rosa, foreste fossili a paludi costiere. E oltre a tutto ciò, le sue mulattiere dell’interno vedono sfrecciare una macchina ogni mezz’ora, qualità che la rende selvaggia e appetibile a ciclisti e (purtroppo) anche motociclisti.
Un’altra caratteristica che rende la Corsica perfetta per il cicloturismo è la quantità di campeggi e b&b immersi nel verde, quasi sempre molto economici, spartani ma puliti, abituati ad accogliere viandanti più che villeggianti.
Il tour qui descritto è un anello di circa 400 km che può essere utilizzato per una vacanza di una o due settimane a seconda del livello di allenamento e della voglia di affrontare km e salite. L’isola è facilmente raggiungibile dai porti di Livorno e Genova in 4-5 ore, con tratte giornaliere di traghetto che si intensificano in alta stagione – i traghetti sono un po’ come i treni regionali, amici dei cicloturisti e degli amanti del turismo lento, chi va piano va sano e vede più cose. Oppure la si può raggiungere dalla Sardegna da Santa Teresa di Gallura, ma in questo modo si arriva nel più turistico e affollato sud, meno adatto al cicloturismo.
L’ideale partenza rimane la cittadella di Bastia, sulla costa nordorientale, vivace e pittoresca cittadina dagli edifici decadenti come quelli dei suoi antenati genovesi. Dopo un breve attraversamento del suo centro, che merita senz’altro una sosta, ci spostiamo lungo l’Etang de Biguglia, una vasta laguna costiera dove non è raro avvistare aironi e altri uccelli costieri: in questi primi km di riscaldamento procediamo in pianura tra mare e lago su una comoda pista ciclabile dove imperano il silenzio e l’umidore mediterraneo.
Giunti nei pressi dell’aeroporto, cambiamo rotta per tuffarci nell’entroterra: attraversata la trafficata strada nazionale che collega un capo all’altro dell’isola, ci ritroviamo all’altezza della frazione di Casamozza. Una delle prime cose che saltano all’occhio, specie dai curiosi toponimi sui cartelli, è la profonda compenetrazione italica di queste regioni, passate nella loro storia dal dominio pisano a quello genovese: un popolare detto corso dice che “i sardi sono fratelli, gli italiani cugini e i francesi nemici”.
Con l’inizio delle prime pendenze, assistiamo al primo cambio d’abito dell’Île de Beauté: le colline regalano ancora l’azzurro rilassante del mare alle spalle, ma già le prime brezze dell’interno cominciano a modellare le forme dell’orizzonte. Alla strada nazionale che va verso Corte preferiamo una strada secondaria, la D107 per Lucciana e Borgo, che ci porta subito in quota con le sue curve tortuose per offrire panorami e precipizi riparati soltanto da timidi muretti in pietra.
Qui la carreggiata è larga una corsia e mezzo, ed è regno incontrastato di mucche e vitelli, che vi ruminano indisturbati (occhio alle curve cieche), mentre in cielo appaiono i vasti giri dei rapaci in cerca di prede.
Arrivati a Ponte Leccia, facciamo conoscenza di un compagno di viaggio che ci porteremo dietro per un po’ di km: il fiume Golo, le cui sorgenti nascono poco più a monte da qui. Dopo i saliscendi iniziali, violenti e improvvisi, inizia la vera e propria salita per il cuore roccioso della Corsica, l’ex capitale Corte. Alterniamo brevi tratti di nazionale (qui il traffico è molto più rado che lungo la costa) a strade secondarie fino ad arrivare alla sua roccaforte, la cui silhouette è il simbolo stesso dell’indipendentismo corso: Corte si erge al centro esatto dell’isola, e custodisce i segreti e l’identità più genuina di quella che è a tutti gli effetti una nazione.
Da qui partono numerosi sentieri escursionistici e di mountain bike, per cui si può scegliere di sostare qualche giorno cullati dal suono scrosciante delle acque del Tavignano, torrente che si è nei secoli scavato uno stretto corridoio tra le rocce formando strutture rocciose dai profili incredibili.
Da Corte in poi iniziano le strade più belle e affascinanti per il cicloturista scalatore: ci troviamo ad aver coperto un quarto di viaggio, circa 100 km, e a seconda del tempo a disposizione possiamo scegliere di proseguire verso sud per l’itinerario completo, oppure di accorciare il percorso restando nella parte nord dell’isola, e affrontare la bellissima D84 (qui la traccia gps della variante che da Corte taglia a ovest fino alla costa, per riallacciarsi al percorso precedente), una mulattiera di montagna segnalata sul sito dangerousroads.com. Se si sceglie questa strada che si arrampica in mezzo a un canyon di roccia rossa, l’unico danger del sito sono le curve cieche e la presenza di animali, e quindi riguarda chi si sposta a velocità più sostenute: il vantaggio, invece, è quello di godere dei meravigliosi panorami boscosi del monte Cinto e del più alto valico dell’intera Corsica, Col de Vergio.
Se invece si preferisce proseguire verso sud, l’entroterra montano e le sue viste mozzafiato sono appena iniziate: poco dopo Corte, attraversiamo di nuovo il fiume Tavignano sul Ponte Eiffel, costruito dallo stesso ingegnere della più famosa Tour di Parigi. Sotto di noi, un salto di un centinaio di metri e le incredibili piscine naturali formate dall’erosione del torrente possono offrire una pausa rinfrescante d’estate. La strada si fa sempre più tortuosa, ancestrale, le rocce disegnano forme bizzarre, i paesini si susseguono sempre più piccoli e sempre più fuori dal tempo, coi loro nomi buffi ereditati da un italiano vecchio di generazioni: Ghisoni, Zicavo, Tattone.
Attraverso foreste secolari superiamo il valico di Col de la Vaccia (1300 m circa), oltre il quale ci si dischiudono valli dove l’unica via di comunicazione è un trenino monorotaia che non consente il trasporto bici. In queste zone più impervie possiamo incontrare spesso maiali a bordo (o al centro della) strada, che non hanno certo paura dell’uomo né disdegnano bocconcini offerti dai turisti di passaggio: l’allevamento allo stato brado, infatti, ne garantisce la qualità delle carni – i corsi sono famosi per quattro cose: salumi, formaggi, castagne e birre. Proseguendo, davanti a noi l’orizzonte ci offre le forme frastagliate del complesso montuoso di Col de la Bavella, le cui cime aguzze ricordano paesaggi alpini o dolomitici.
Al confine tra Haute-Corse e Corse-du-Sud prendiamo la 193 in direzione di Ajaccio, città natale di Napoleone: ed ecco che con la discesa verso la costa ovest il paesaggio cambia ancora una volta. Ci ritroviamo in una città di riviera, e ci vuole un po’ per abituarsi a ritmi umani dopo la quiete delle strade precedenti, dove incontrare una macchina è quasi un evento.
Proseguendo lungo la costa verso nord, abbiamo poi uno dei tratti più suggestivi dell’intero viaggio, le Calanche di Piana: questa strada costiera a picco sul mare attraversa pareti di granito rosso che nelle ere geologiche il vento ha scolpito con maestria, donandogli forme di animali.
Come la maggior parte delle strade in Corsica, costruite per muli e carretti e mai ampliate causa scarso traffico, la carreggiata anche qui è stretta, e per di più a picco sul mare: è quindi consigliabile seguire questo tratto da sud verso nord come da traccia gpx, per ritrovarsi dal lato interno del precipizio.
In direzione di Calvi e Île-Rousse, il paesaggio costiero continua a stupire con le sue scogliere selvagge cosparse di macchia mediterranea (la stagione migliore per goderne i colori è senz’altro la primavera) e l’azzurro intenso del mare: siamo ora a due passi dalla Riserva naturale di Scandola, visitabile soltanto via mare, meta di passaggio di delfini e tartarughe marine.
La costa settentrionale, ultimo lato del nostro viaggio prima del ritorno a Bastia, offre un’ultima perla: il Deserto degli Agriati, una zona arida e rocciosa a ridosso del mare, dei contorni inquietanti e aspri in stridente contrasto con la serenità dei vicini porti come Saint Florent.
Dopo la tregua altimetrica offerta da questo tratto costiero, che a parte qualche tratto in saliscendi non presenta particolari salite, ci attende ora l’ultima fatica prima di guadagnare il nostro posto in traghetto: il valico di Bocca di Teghime, che taglia alla base il “dito” a nord dell’isola collegando con una bellissima strada Saint Florent a Bastia. Una volta arrivati in cima, però, tutta la fatica viene però ripagata dal panorama mozzafiato dei due mari nelle opposte direzioni, a ovest verso gli Agriati e a est verso l’Italia e lo stagno di Biguglia.
A questo punto ci rimane soltanto la vertiginosa discesa verso il porto, e una generosa bevuta di birra Pietra prima del ritorno.
Claudio Mancini