Mai fatta La Vinaria, prima. La conoscevo solo di nome, e che nome! Quindi arrivo alla piazza del mercato di Marlia, a Capannori la sera prima, che per me è tutto nuovo. Ad accogliermi c’è Roberto Lencioni, meglio conosciuto come Carube. Colui che, immancabile ad ogni edizione de L’Eroica col suo banchetto di bici e accessori d’epoca, quattro anni fa ebbe l’idea che conquistò i sindaci e le giunte dei comuni di Capannori, Porcari e Lucca di organizzare questa Ciclostorica nella zona di Lucca. E La Vinaria è cresciuta anno dopo anno, fino arrivare ad oggi, con ben 300 iscritti. Poche ancora le donne, circa il 10%, ma buone. E anche se ci sono tanti “di fuori”, italiani, europei e c’è persino qualche giapponese, l’aria che si respira è davvero locale, a metà tra la festa di paese e un raduno di amici, in cui tutti si conoscono. C’è profumo di “C aspirate” e di porchetta arrosto.
Il giorno prima è dedicato ad accogliere i sorprendenti mezzi che faranno assistenza durante la manifestazione: auto, moto e persino side-car rigorosamente d’epoca! C’è di tutto, da una Balilla degli anni trenta a diverse BMW, a una 2cavalli degli anni 70. Ho sempre sognato di avere una Balilla come carro-scopa!
La seconda sorpresa è il pacco gara: avete presente quel sacchettino con dentro il numero e i prodotti degli sponsor, barrette, gel, cose così? Dimenticatevelo: al suo posto ci danno la “balla gara”, come dicono qui, un enorme sacco di iuta pieno di ogni ben Dio del territorio: vino, legumi, salami, pasta, biscotti…
La sera, a cena, l’atmosfera è rilassata e allegra, non c’è la classica tensione pre-gara. Si mangia, si beve e si ride, tutto parecchio, e nessuno che parla di watt e di lattato. Ma il vino della Badiola scorre a fiumi. Mangiamo a “centimetro zero”, tutto allevato e cucinato dietro l’angolo. E la cena finisce con la mitica Torta Co’ Becchi.
Andiamo a letto tardi, dopo aver mangiato e bevuto decisamente troppo, ma con la sensazione che tutta quell’allegria e quelle cose buone, facciano meglio del carbo-load, almeno all’umore. La mattina dopo – l’aria ancora fresca ma un sole che da subito promette caldo – la partenza è prevista per le 8,30 “rilassate”, ma già alle 7 c’è animazione. Arrivano i primi gruppi, rigorosamente in divisa, tra cui quello de La Vinaria spicca per numero ed eleganza. Niente tensione neanche qui, ma tanta allegria scanzonata.
Io parto male. Ho le scarpette sbagliate, che non riescono a entrare nelle malefiche “gabbiette”, facendomi restare lì a raspare il terreno come un toro infuriato prima della carica per riuscire a girare il pedale e infilarci il piede. Non ho i guantini, e le mani sul ferro (ferro non gomma!) del manubrio a ogni discesa fischiano come aragoste nell’acqua bollente. La maglia in lana cotta, fedele alla semantica, cuoce, ma in più punge anche, e prude. L’acqua nella borraccia sembra poca, la confidenza con la bici e col terreno, anche. Sembro un po’ Fantozzi insomma, in mezzo a degli “eroici rodati”.
Partiamo, e come se non bastasse la strada ci mette subito alla prova: lei, la temibile salita sterrata, che di peggio c’è solo la sua perfida sorella, la discesa sterrata, che di solito la segue a ruota.
Con un lungo tratto sterrato arriviamo a La Badiola. Mi fa male tutto, ho caldo, sete, fame (già?!), sono stanca, vorrei scendere. E infatti scendo e cammino, e il tratto sterrato da lungo diventa infinito.
Ma poi.
Ma poi una volta in cima, la bellezza del posto mi distrae. E la simpatia della gente che incoraggia, mi dà forza.
Ma poi.
Poi la strada si distende, torna l’asfalto, a tratti, e la vista si riempie di quel paesaggio, di quei colori, con le montagne circostanti di un verde più scuro che da qui sembrano altissime e fanno da contrasto alla dolcezza dell’insieme. E mi ci perdo, che la fatica scompare, e la lana cotta in discesa inaspettatamente mi rinfresca.
Ma poi.
Poi arriva il ristoro. Chiariamolo subito: il ristoro de La Vinaria non ha niente in comune con quelli delle Granfondo. Niente merendine confezionate (la temibile crostatina” che ti si piazza sul piloro e lì rimane per ore), niente integratori, né banane. Il ristoro de la Vinaria è una festa sul prato, che profuma di cibo fatto in casa, condito con sorrisi genuini e locali come gli ingredienti che hanno usato per prepararlo: crostini di ogni tipo, salati –con la finocchiona, con le acciughe in salsa verde, opera di Cristina moglie di “Carube”, sono, il pezzo forte di tutto il ristoro, che non facevi in tempo ad assaggiarli che erano spariti (ok, lo confesso è anche colpa mia), e dolci, dal più classico pane-vino-zucchero, che colora di rosa i sogni dei bambini toscani dai tempi dei tempi, a quelli con la marmellata, rigorosamente artigianale.
Ma poi.
Poi si arriva a Lucca, e c’è il giro delle Mura, da fare a velocità controllata. E a questo ci pensano le donne della squadra de La Vinaria che si mettono davanti a fare l’andatura, e si passa in mezzo a una folla di ciclisti e podisti e passeggiatori della domenica e turisti che ci salutano e ci incitano. Ed è così bello essere lì, parte di questa bellissima combriccola accaldata e colorata, che ai più sembrerà strana, con le bici e l’abbigliamento dei nostri nonni, in questa giornata di sole dal caldo ancora estivo ma con un velo d’oro rosso che ne ammanta i contorni strizzando l’occhio all’autunno, che la fatica, e il male alle mani e la lana cotta, chi li sente più?
Tanto che arrivata al fatidico bivio “lungo-corto”, sto così bene (sarà stato forse il vino?) che mi lancio sul percorso lungo, perché non voglio perdermi niente di questi paesaggi bellissimi (e neanche un ristoro!). E così continuo, passando dal “quercione di Pinocchio”, un albero maestoso ai cui rami la leggenda vuole che Pinocchio venisse impiccato e poi ancora, su e giù, ma molto più “su”, visto che il dislivello è tutto in questa seconda parte. Le strade chiuse ai lati da boschi fitti si alternano a tratti panoramici in cui si rimane incantati dalla bellezza di questa Toscana, dolce, ma anche aspra, di campagna ma anche di monumenti, e di vino e olio, olio e vino senza soluzione di continuità.
Alla fine sono stanca morta, con le piaghe alle mani ( i guantini servono, segnatevelo), le gambe di legno (sarà mica la vicinanza con Pinocchio?), ma felice e affamata nonostante il ripetuto saccheggio ai ristori.
Alla premiazione c’è la stessa aria di festa e di cordialità a cui queste persone meravigliose ci hanno abituato fin dall’inizio, e, non essendo una gara, ogni scusa è buona per essere premiati: al partecipante più leggero e a quello più “in forma”, al più giovane e al più “silver”. Al gruppo più numeroso invece va il Trofeo Roberto Silva, dedicato a un imprenditore milanese, grande ciclista e grande amico de La Vinaria, recentemente scomparso in Gara, proprio da queste parti.
Parto con gli occhi e la pancia pieni di cose belle e buone e nel cuore il proposito di allenarmi meglio per tornare a La Vinaria e farmi valere su ogni tipo di strada e non solo ai ristori, dove francamente non ho avuto rivali.