Era poco più che adolescente, appassionatissimo di sport e di competizioni, in particolare di ciclismo. Ma a quei tempi, fine anni Novanta, parlare di sport agonistico per uno come lui era praticamente un’utopia: come potevi pretendere di fare agonismo in una disciplina così estenuante se ogni ora devi stare a controllare il tuo livello di glicemia, come potevi pensare alla tattica e agli scatti se almeno due volte al giorno dovevi pensare a farti iniezioni di insulina? Come potevi pretendere di stare a competere sapendo che se dimentichi di controllare i tuoi zuccheri rischi il coma? E infine: come potevi solo immaginare di gareggiare allo stesso livello e allo stesso grado con i tuoi coetanei più fortunati di te, che con quella malattia non sono nati?
Di tempo da quei giorni ne è passato tanto e gli strumenti per convivere con una malattia che nel mondo affligge milioni di persone si sono affinati parecchio; ma è cambiata anche la percezione che la gente comune ha di una patologia di cui oggi tanti adolescenti non si vergognano più come una volta. Perché se con questo problema ci nasci nulla ti vieta di fare sport, anche ad altissimo livello. Phil Southerland, 47 anni, statunitense di Atlanta (Georgia) già da qualche anno ha realizzato quello che per anni era sempre stato il suo sogno: è da anni il mentore, manager e CEO di una squadra di ciclisti professionisti, una squadra dove tutti i corridori hanno la stessa sua patologia, sono tutti quanti affetti da diabete di tipo 1.
Il diabete di tipo 1 è la più severa tra le forme di diabete, quella che insorge in età giovanile per cause ad oggi ancora non note, nel mondo colpisce 40 milioni di persone. Il diabete di tipo 1 nulla ha a che fare con l’alimentazione, l’obesità o il cattivo stile di vita (queste sì, queste determinano il diabete Mellito, o di “tipo 2”).
Nel 2008 Southerland ha dunque messo in piedi una squadra professionistica unica nel suo genere: tra le sue fila c’erano atleti “normali” e atleti affetti da diabetici di tipo 1. Così è stato fino al 2013, quando la compagine che all’epoca si chiamava semplicemente “Type1” (Tipo 1) aveva già iniziato timidamente a farsi notare con qualche piazzamento ottenuto nelle competizioni minori.
Poi, dal 2014 la grande svolta: subentra come main sponsor del team un’azienda danese che produce insulina. Il suo investimento è vincolato a una clausola che per Southerland è quanto di meglio si potesse aspettare: la squadra deve essere esclusivamente composta da atleti diabetici di tipo 1.
La squadra che da quel momento in poi si chiama Novo Nordisk vuole mandare al mondo un messaggio ancora più forte: con il diabete si può anche fare sport ad altissimo livello, e soprattutto si può creare un modello per ispirare chi come loro è stato meno fortunato.
Un’attività fisica anche strenua come è il ciclismo può essere allora il primo elemento per convivere con questa patologia.
In un recente passato il Team Novo Nordisk ha più volte ottenuto una wild-card per partecipare alla Milano-Sanremo, nella stagione in corso – 2022 – i ragazzi in maglia blu-ocra hanno corso al Tour of Oman, al Tour of Turkey e Giro di Ungheria (solo per citarne alcune), mentre nella stagione 2021 Novo Nordisk ha persino vinto il campionato finlandese professionisti grazie a Joonas Henttala. Lo scorso luglio, inoltre, l’italiano Andrea Peron ha vinto una gara UCI in Slovenia.
Come è possibile competere nonostante si sia affetti da questa malattia? Diversamente da quel che alcuni pensano la dieta dei ciclisti diabetici è esattamente la stessa degli altri corridori: è una dieta bilanciata ricca di carboidrati, con una buone dose di proteine e la giusta quantità di grassi. La differenza sostanziale – ovviamente – è nel controllo della glicemia nel sangue. Livelli troppo alti obbligano ad assumere insulina, quell’ormone che il pancreas dei diabetici non secerne.
Negli ultimi tempi la tecnologia ha aiutato moltissimo a convivere e gestire con la patologia; ha aiutato le persone sedentarie, ma ha aiutato anche gli sportivi: in particolare i corridori hanno tutti un patch a pelle, il CGM. Si tratta di un sensore per il controllo continuo del glucosio in tempo reale.
Il CGM si collega ai dispositivi digitali (anche tin ciclocomputer) e permette di monitorare in ogni momento la glicemia nel sangue, di conseguenza adattare l’alimentazione ed eventualmente fare delle iniezioni di insulina anche in corsa, attraverso dei microinfusori sottocutanei che alcuni corridori hanno.
Nel team Novo Nordisk la maggior parte degli atleti ha scoperto di avere il diabete in adolescenza, ma non mancano casi in cui la malattia ha esordito tardi, anche oltre trenta anni.
«Io ho scoperto di avere il diabete a dodici anni. – ci spiega Filippo Ridolfo, che è uno dei tre italiani che corrono in questo team –All’inizio può essere un po’ difficile, ma dopo avere imparato diventa più semplice».
Per Filippo passare professionista era già di per sé un sogno. A vent’anni lo ha realizzato. E perché no? Perché adesso non credere che lui o un suo compagno possa anche vincere una grande classica o un grande giro? Sarebbe il più forte e il più bello tra i messaggi che questo incredibile team potrebbe mandare al mondo.